Frosini/Timpano
prosa
Spettacolo vincitore Premio RETE CRITICA 2012
Segnalazione speciale Premio IN – BOX 2012
Spettacolo finalista Premio Ubu 2012 come“migliore novità italiana”
Premio NICO GARRONE 2013 per il progetto speciale “Aldo morto 54”
Sabato 24 giugno, ore 21.15

“Un bel mattino ci sveglieremo
e capiremo che siamo morti”
Claudio Lolli, 1973

«Desolato, io non c’ero quando è morto Moro. Aldo è morto senza il mio conforto. Quando Moro è morto, non me ne sono accorto. Era il 9 maggio 1978. Non avevo ancora quattro anni. Ma dov’ero io quel 9 maggio? E cosa facevo? A che pensavo? E soprattutto a voi che ve ne importa? È una cosa importante cosa facevo e che pensavo io a tre anni e mezzo? Aldo è morto, poveraccio. Aldo Moro, lo statista. Cose che capitavano negli anni ’70. Bisognava fare la rivoluzione. Chi? Brigate rosse. Era il 9 maggio del 1978. Brigate rosse, sì. Ma rosse in che senso?»
Un attore nato negli anni ’70, che di quegli anni non ha alcun ricordo o memoria personale, partendo dalla vicenda del tragico sequestro di Aldo Moro, trauma epocale che ha segnato la storia della Repubblica italiana, si confronta con l’impatto che questo evento ha avuto nell’immaginario collettivo. In scena, assieme al suo corpo e a pochi oggetti, solo la volontà di affondare fino al collo in una materia spinosa e delicata senza alcuna retorica o pietismo.
Nel 2013, in collaborazione con il Teatro dell’Orologio di Roma e Fondazione Romaeuropa, dallo spettacolo è nato il progetto Aldo morto 54: 54 giorni di repliche dello spettacolo Aldo morto e 54 giorni di autoreclusione di Daniele Timpano in streaming in una cella ricostruita appositamente in teatro. Aldo morto 54 ha vinto il premio Nico Garrone 2013.

testo, regia e interpretazione Daniele Timpano | disegno luci Dario Aggioli e Marco Fumarola | collaborazione artistica Elvira Frosini | aiuto regia Alessandra Di Lernia | oggetti di scena Francesco Givone | registrazioni, editing audio Marco Fumarola, Marzio Venuti Mazzi | elaborazioni fotografiche Stefano Cenci | progetto grafico Antonello Santarelli | uno spettacolo di Frosini/Timpano | produzione Gli Scarti, Kataklisma teatro | con il sostegno di Accademia degli Artefatti, Area 06 | in collaborazione con Cité Internationale des Arts, Comune di Parigi | si ringrazia Cantinelle Festival di Biella
Estratti rassegna stampa

“Come si potrebbe definire Aldo morto. Tragedia, il geniale spettacolo di Daniele Timpano che ricostruisce – in
una chiave irriguardosa, estrosamente personale – gli anni di piombo e l’uccisione di Aldo Moro? Pur rifacendosi alla nostra storia recente, il suo non è un teatro civile, non è un teatro politico, non è un teatro che voglia informare, denunciare, svelare oscuri retroscena. Lo stesso Timpano è un attore atipico, di difficile collocazione: non è un ‘narratore’, non è un comico. Fa sorridere storto, ma tocca delle corde profonde. L’impressione è che lui si faccia carico di frugare nelle zone buie della coscienza dello spettatore, portando alla luce tutti i nodi irrisolti, tutte le contraddizioni, tutte le inconfessabili meschinità che vi si annidano, e con le quali non si sono mai fatti completamente i conti: persino l’assassinio dello statista risulta – prima che drammatico – scomodo, sgradevole, come se ancora non fosse riuscito a suscitare un autentico compianto. È un trauma, un lutto collettivo, ma segnato da qualcosa di non detto, forse un senso di colpa o un’intima vergogna. In uno stile apparentemente informale, che nasconde però una scrittura aguzza, dove la ferocia convive con la pietas, il testo inquadra da vari punti di vista una vicenda che resta in sostanza più cupamente grande di come non l’abbiano vissuta protagonisti e testimoni: il sequestro di Moro è colto attraverso gli sguardi di telecronisti inadeguati, di commentatori – sia pure illustri – fuori tono, di brigatisti che oggi lucrano sui libri di memorie. Ma non è satira, è piuttosto il ritratto di un Paese sempre al di sotto del suo ruolo. Con sghemba esuberanza, Timpano riesuma deliranti canzoni sessantottine e truci barzellettacce d’epoca, pronuncia un discorso di Renato Curcio indossando una maschera di Mazinga, si traveste – con vistosa parrucca – da Adriana Faranda, fa entrare in scena un’inquietante automobilina telecomandata, una Renault 4 rossa, versione in miniatura di quella in cui fu lasciato il cadavere di Moro, con una minuscola coperta nel bagagliaio. Sembra puro cinismo, e ottiene invece un effetto assolutamente agghiacciante. Ma la qualità più spiazzante di Aldomorto è l’intrepida vocazione dell’autore-interprete a incarnare i nostri cattivi pensieri: e qui di cattivi pensieri ne ha su tutto e su tutti, sui responsabili degli agguati ma anche sui loro bersagli, su Montanelli e Biagi, sullo Stato che «fa schifo ed è tuttora da abbattere». Dice cose disdicevoli che molti, però, prima o poi hanno condiviso, anche se forse nessuno oserebbe più ammetterlo. Ma resta sul filo di un’acre ambiguità, per cui non sai mai se parli per bocca del personaggio o di Daniele Timpano.” Renato Palazzi, Il Sole 24ore