Motus
performance
Venerdì 11 luglio, ore 23.00
Campsirago Residenza, Colle Brianza
Io ero benevolo e buono; l’infelicità ha fatto di me un demonio.
Frankenstein, Mary Shelley 1818
DAEMON è uno dei tanti termini negativi con cui Mary Shelley chiama la creatura romanzo. Nel periodo storico in cui è stato scritto il mostro non è mostruoso perché orrendo o pericoloso, ma terrorizza perché è l’imprevisto, l’inatteso, l’impensabile: è strano, weird…
WEIRD viene dall’antico nordico URTH che significa intrecciato, in loop come l’avvolgimento della spoladel destino. Ma l’aggettivo weird può significare anche casual, (casuale)… In questo senso weird èconnesso a worth (volere) inteso non come sostantivo, ma come verbo, un verbo che ha a che fare con il divenire e le trasformazioni (…) Nel significato di STRANO significa anche una svolta inaspettata,dall’aspetto strano… Il termine strano è attraversato da un oscuro sentiero tra causalità e dimensione estetica, tra FARE e APPARIRE. (da Timothy Morton, “Ecologia oscura”)
La performance è il preludio al secondo movimento del progetto sulla mostruosità Frankenstein (a History of Hate). Il titolo è tratto da uno dei tanti termini negativi con cui viene chiamata la creatura di Mary Shelley. La performance affonda le radici nel cuore oscuro di Frankenstein, ripercorrendo il momento in cui la creatura, inizialmente innamorata della bellezza del mondo e degli esseri umani, scopre la propria condizione di reietto. Daemon è l’incubo che prende forma nella mente della giovane Shelley, un’allucinazione che si muove tra nebbie, boschi e riflessi d’acqua, dando corpo a quel momento in cui l’amore e la fantasia si spezzano e si trasformano in furia e ribellione. Daemon afferma il valore della mostruosità e della metamorfosi, un grido che attraversa il tempo per rivendicare il diritto di esistere fuori dagli schemi imposti. Nello scavo sulle origini dell’odio e dell’inestimabile dolore a esso inevitabilmente connesso, Shelley traccia una nuova geografia del terrore, che troppo risuona oggi.
Dopo aver appreso la propria storia e sperimentato il rifiuto di tutti quelli di cui aveva cercato la compagnia, la vita della creatura prende una piega oscura. «I miei sentimenti erano solo di rabbia e di vendetta», dichiara il mostro. «Io, come l’arcidiavolo, portavo dentro l’inferno».
Il mostro sarebbe felice di poter distruggere l’intera Natura, ma si risolve, infine, per un piano più
vantaggioso: eliminare sistematicamente tutti quelli che Victor Frankenstein ama…Da questa mutazione dei sentimenti nella creatura siamo partiti con DAEMON, immaginando la performance come una allucinazione/incubo partorito dalla mente Mary Shelley, una giovane che fa«castelli in aria», sogna ad occhi aperti, ha una immaginazione abnorme, mostruosa (ha scritto il romanzo Frankenstein quando aveva soli 19 anni!). E’ descritta dai familiari come una ragazza con sempre “la testa tra le nuvole”… L’abbiamo immaginata aggirarsi fra boschi e nebbie, quando inizia ad avere visioni… Mary /Alexia Sarantopoulou vede questa strana creatura muoversi veloce, apparire e scomparire,inafferrabile, metà uomo, metà animale… Sono allucinazioni dovute al clima umido e alla pioggia incessante? Immagini scaturite dai riflessi delle acque? Chissà…
Forse si può trattare di maladaptive daydreaming (in italiano “sogni ad occhi aperti disadattivi”) noto anche come disturbo da fantasia compulsiva: è una forma disordinata di assorbimento dissociativo connesso a un’attività di fantasia vivida ed eccessiva. O forse si tratta semplicemente del cervello che si riprende il diritto e il tempo di Fantasticare, di lasciarsi andare a divagazioni, a catene di associazioni e Hypnagogic hallucinations (Marie-Helene Huet, Monstrous Imagination, 1993) a momenti di transizione fra la veglia e il sonno. Sara De Simone parla dello stato di dormiveglia in cui Shelley concepisce il mostro: «la consuetudine dei waking dreams è qualcosa di più […] Assentarsi per scivolare in una realtà seconda, immaginifica, figurata, un doppiofondo dove Mary può calarsi, proprio come il suo pallido scienziato, per raccogliere ossa e resti dalle cripte, e trasformarli in qualcosa di spaventoso, straordinario e vivo».
Questa performance da corpo a questa prima allucinazione, ma racconta anche del momento, di quel terribile click che fa convertire l’amore in odio, la benevolenza in violenza; di quell’inceppo del meccanismo amoroso che provoca un ribaltamento dalle conseguenze irreversibili. E’ focalizzata infatti sul “divenir cattivo” della creatura: su come un essere senza identità, senza storia, solo come un cervo, inseguito, fa mondo a sé e si ribella. Come la creatura, DAEMON in realtà afferma il valore della mostruosità: le domande miltoniane che Shelley pone in epigrafe del suo romanzo: «Ti ho chiesto io, creatore, dalla creta / di farmi uomo? Ti ho sollecitato io / a trarmi dall’oscurità?» Con una sola voce, rispondiamo: «No», senza svilirci, perché abbiamo accettato il duro lavoro di ricostruirci secondo le nostre condizioni e anche contro l’ordine naturale, come tutta la comunità queer invita a essere, “alleat* del caos e dell’oscurità da cui sgorga la Natura”.
con Enrico Casagrande e Alexia Sarantopoulou | regia e drammaturgia Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande | luci e video Daniela Nicolò | fonica Martina Ciavatta | una produzione Motus in collaborazione con Rimimir-Scenkunst, Norway